In colonia a Campobasso

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Eravamo in duecento circa, ospiti del seminario di via Mazzini. La giornata di quel mese di colonia iniziava e finiva con l’alzabandiera, come in caserma, mentre in coro cantavamo l’inno di Mameli.

La corriera di Santoro ci attendeva al mattino, per condurci nel boschetto Barone, a ridosso del cimitero cittadino. Quattro signorine sorvegliavano le squadre formate da venti ragazzi ciascuna, lasciandoci liberi di giocare nel bosco. Certo non ci annoiavamo. Un giorno, sotto un albero, trovammo armi e bombe, sotterrate dai tedeschi in fuga. Tornavamo per il pranzo, imbandito nell’immenso refettorio con fagioli in scatola, farina, marmellata, biscotti, cioccolata…, tutti con il marchio a stelle e strisce del Piano Marshall.

Nel tardo pomeriggio si passeggiava per via XXIV Maggio, non ancora fitta di case e palazzi, oppure per la campagna, nei pressi del Foro Boario. In fila per due, il serpentone di bambini, con i curiosi vestitini da puffi, faceva tenerezza ai passanti. Ai più sfortunati capitava di ammalarsi di morbillo o scarlattina e di passare la colonia a letto, in quarantena, negli oscuri stanzoni del terzo piano.

Al rientro dalla passeggiata, assistevamo alla messa, nella cappella vescovile, fissi gli sguardi all’ampia vetrata istoriata dell’abside. Durante la guerra era stata mandata in frantumi dall’unica bomba che aveva colpito la città, uccidendo mons. Secondo Bologna, l’arcivescovo di Campobasso, proprio mentre celebrava la messa.

A sera, nell’angusto cortile quadrato dove a stento riuscivamo a vedere il cielo stellato, le signorine e i novizi ci raccontavano storie di santi, più o meno edificanti. Il vescovo Carinci, l’austero successore di mons. Bologna, se ne restava chiuso nei suoi uffici. Quando scendeva le ampie scalinate del seminario, non mancava mai di rimproverarci per il chiasso assordante.

Avevo solo otto anni quando fuggii dal seminario, in un torpido pomeriggio, per raggiungere il tabaccaio, comprare una cartolina postale e scrivere poche righe ai genitori, esortandoli a venirmi a liberare da quell’inferno.

Non poterono farlo. Me ne resi conto all’indomani quando la direttrice mi invitò nel suo ufficio. Mostrandomi la cartolina (nella mia ingenuità, avevo invertito gli indirizzi: in quello del destinatario avevo scritto quello del mittente), la matura e severa signorina Pasquale mi chiese perché avevo definito la colonia un inferno. Non voleva sapere altro. Arrossii e piansi, chiedendo scusa, ma non bastò.

All’inferno mi ci mandò davvero, per punizione. E lì, nel magazzino sotterraneo, dove scorrazzavano ratti enormi, piansi tutto il giorno, per colpa di quella cartolina che aveva preso la direzione sbagliata.

(il figlio del fornaio)

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13 commenti su “In colonia a Campobasso

  1. GiMascia il said:

    Una bella pagina rievocativa di esperienze legate a una infanzia povera, in un mondo che doveva conoscere ancora il cosiddetto boom del miraoclo italiano.

    Complimenti, fornaretto.

  2. anonimo il said:

    Anch’io sono stato ospite della colonia estiva, grazie all’interessamento di zia Marietta Rossodivita, col soprannome “Pagliaccio” che in quel seminario operava come cuoca. A dire il vero proprio inferno non era ma la disciplina era ferrea.

    Di toresi eravamo pochi, moltissimi di Gildone e Pietracatella, paese natale della Direttrice Pasquale.

    M.Cofel.

  3. Hyeronimus il said:

    A sette anni decisi di fare l’esperienza della colonia estiva, nonostante il parere contrario dei miei genitori:

    un mese da dimenticare…

    Mi sono ritrovato, in quello che hai scritto con la consueta abilità, ricordandomi delle famose cartoline postali.

    Complimenti per le immagini che posti.

  4. Paesanino il said:

    Una doverosa precisazione per Hyeronimus:

    In colonia a Campobasso è un racconto de “il figlio del fornaio”, che mi sono limitato a corredare di immagine e postare.

    Insieme a racconti de “il figlio del fornaio” (cui vanno i tuoi apprezzamenti, io mi tengo solo quelli per le immagini), ho il piacere di pubblicare in questo blog anche liriche di “Abigail” e “Incanto lirico”, nonché liriche e scritti vari di Giovanni Mascia e, occasionalmente, di altri amici toresi o molisani, sempre indicando in calce ai post il nome degli autori.

    Un abbraccio

  5. tempeste il said:

    ..”All’inferno mi ci mandò davvero, per punizione. E lì, nel magazzino sotterraneo, dove scorrazzavano ratti enormi, piansi tutto il giorno, per colpa di quella cartolina che aveva preso la direzione sbagliata”.

    Dai racconti che sento dai più anziani, si sente spesso raccontare della severità di quei tempi..

    Complimenti..una tenera pagina di vita vissuta.. di una infanzia a tratti difficile!

    Tempeste dell’Anima

  6. bucciadimela il said:

    Delizioso, questo figlio del fornaio: ha una penna molto buona per raccontare con semplicità e incisività, e un baule di ricordi nei quali è possibile riconoscersi, almeno per noi di una certa generazione. La colonia ci veniva indicata come un luogo di spasso, ma in realtà spesso era proprio un inferno perché somigliava più a un collegio che a una vacanza. Io non ci sono mai andata, ma nella mia infanzia a Lido di Venezia vedevo spesso i bambini delle colonie portati a passeggiare in fila sulla spiaggia da suore arcigne e sorveglianti impazienti: erano vestiti dalla testa ai piedi, non potevano nemmeno togliersi le scarpe, di fare il bagno non se ne parlava. Più che bimbi in villeggiatura sembravano orfanelli infelici. Erano gli anni ’50.

  7. benciarl il said:

    Come al solito, caro Fornaretto, con pochi tratti di pennello riesci a dipingere dei quadri formidabili. Accade smpre, quando leggo i tuoi aneddoti, che fatti simili accaduti nella mia infanzia tornino alla mente in tutta la loro tragica comicità. Insomma, per farla breve, leggerti è come aprire i famosi cassettini della memoria ove tanta parte di noi gicerebbe, altrimenti, dimenticata.

  8. xandria il said:

    il tuo commento da hyero mi ha regalato uno dei piu’ bei sorrisi della giornata

    spero che abbia fatto sorridere anche lui

    un saluto ripassando a trovarti

    ciao.

  9. AbigailGilmore il said:

    Bello, Figlio del fornaio! Quante notizie interessanti che ci hai regalato: non sapevo, ad esempio, che Monsignor Bologna fosse il vescovo di Campobasso ucciso da una bomba…!Un abbraccio in attesa del prossimo racconto di tempi andati, Abigail

  10. anonimo il said:

    Non eri molto fortunato da piccolo, ti capitava di tutto.

    Molto bella anche quest’altra pagina della tua vita.

    Un abbaraccio

    Peppe

  11. Amalia Sanzò il said:

    “Il figlio del fornaio” mi ha fatto rivivere un’estate di tanti anni fa,quando ebbi la nomina come vigilatrice presso la colonia del Seminario,quanti ricordi!
    Una delle quattro signorine citate nel racconto potrei essere io,mi piacerebbe contattare l’autore!
    In attesa,saluto sinceramente

  12. paesanino il said:

    Cara Amalia,
    ho segnalato a lui il tuo commento, compreso di indirizzo email.
    Sono sicuro che ti cantatterà.
    Un caro saluto
    Paesanino

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